Il Medioevo è l’unica epoca in cui parlare di filosofia equivale a parlare di teologia, questo perché il filosofo dell’età medievale è principalmente un uomo di Chiesa. La Patristica (ossia il complesso delle opere letterarie dei Padri della Chiesa) investe i primi secoli del pensiero cristiano (II-IV sec.), contemporanei allo sviluppo del Neoplatonismo (l’ultima grande corrente filosofica dell’antichità). Entrambi vanno a costituire il nucleo generativo di tutta la filosofia medievale. La Patristica si sviluppa su un doppio versante: quello greco e quello latino. La prima opera della letteratura cristiana è certamente la Bibbia, dove vi sono punti, come nelle lettere di S. Paolo o nel Prologo di Giovanni al quarto vangelo, in cui è attestata una forte matrice filosofica. La Bibbia diviene la fonte privilegiata di tutti i filosofi e teologi medievali, secondo i quali Dio si sarebbe esplicato sia nella creazione del mondo che nelle Sacre Scritture. I maggiori rappresentanti della patristica greca e latina sono rispettivamente Pseudo-Dionigi Aeropagita (citato negli Atti degli Apostoli: Luca 17, 16-34) e S. Agostino. La prima fase della patristica greca è detta “apologetica” (II sec.), poiché comprende arringhe, apologie e giustificazioni della fede. Si cerca di imporre il pensiero cristiano con l’idea che esso sia un sistema filosofico razionale migliore di quello neopagano. In tutto ciò ricorre la peculiarità della filosofia medievale di essere inscindibile da un ordine di idee religioso.
Il pensiero filosofico mira dunque a costruire una filosofia cristiana, che però assimila anche molti concetti dell’antica filosofia greca (che per definizione è pagana). Mentre però per la filosofia greca la verità è un obbiettivo, per i filosofi cristiani la verità è il punto di partenza, essendosi per loro già rivelata nella Bibbia. Si accetta dal principio una verità per fede: spetta poi alla ragione argomentarne ed esplicitarne il contenuto.
Se esiste quindi una prima filosofia cristiana, questa si basa sulla verità della Bibbia per esplicarne il contenuto razionale. Tra tutti gli autori c’è dunque la condivisione del punto d’inizio della ricerca filosofica. Gli apologisti greci e latini sono intenti a esprimere filosoficamente il contenuto della fede, conducendo l’esegesi biblica servendosi anche di strumenti della filosofia greca come la logica aristotelica e la dottrina di Platone.
Nella Patristica latina si distinguono anche Clemente d’Alessandria e Origene. Il primo scrive – tra le varie opere – anche il Pedagogus, trattato di educazione e morale cristiana, e le Stròmata (“orditure”), in cui afferma che la filosofia è di per sé buona perché è stata voluta da Dio, la sola fonte di essere e di bontà, principio metafisico ed etico.
La coesione tra ragione e fede è destinata a caratterizzare tutta la filosofia medievale. Nell’XI sec. S. Anselmo conierà il famoso motto “Credo ut intelligam” (“credo per comprendere”). In questa frase è nuovamente rivendicato lo stesso principio già evocato secoli prima dai Padri della Chiesa: la fede è il punto di partenza della ricerca filosofica e non si può intendere nulla se prima non si ha fede. “Ma è tuttavia pigrizia…” – afferma Anselmo nel suo Proslogion – “…il non cercare di intendere e dimostrare ciò che si crede”.
Il rapporto con gli antichi rimane dunque fondamentale, sia per stabilire un rapporto di continuità con la tradizione, sia perché gli antichi sono autori di opere indispensabili anche a livello strumentale. Bernardo di Chartres (XII sec.), per descrivere il rapporto con l’eredità degli antichi, non a caso ricorrerà all’immagine dei “nani sulle spalle di giganti”, vale a dire: il sapere degli antichi è superiore, ma i “moderni”, avvalendosi di questo sapere (cioè poggiando sulla “statura gigantesca” dei classici), hanno la possibilità di attingere a una conoscenza ancora più grande e di guardare ancora più lontano.
Francesco Macaluso
Il pensiero filosofico mira dunque a costruire una filosofia cristiana, che però assimila anche molti concetti dell’antica filosofia greca (che per definizione è pagana). Mentre però per la filosofia greca la verità è un obbiettivo, per i filosofi cristiani la verità è il punto di partenza, essendosi per loro già rivelata nella Bibbia. Si accetta dal principio una verità per fede: spetta poi alla ragione argomentarne ed esplicitarne il contenuto.
Se esiste quindi una prima filosofia cristiana, questa si basa sulla verità della Bibbia per esplicarne il contenuto razionale. Tra tutti gli autori c’è dunque la condivisione del punto d’inizio della ricerca filosofica. Gli apologisti greci e latini sono intenti a esprimere filosoficamente il contenuto della fede, conducendo l’esegesi biblica servendosi anche di strumenti della filosofia greca come la logica aristotelica e la dottrina di Platone.
Nella Patristica latina si distinguono anche Clemente d’Alessandria e Origene. Il primo scrive – tra le varie opere – anche il Pedagogus, trattato di educazione e morale cristiana, e le Stròmata (“orditure”), in cui afferma che la filosofia è di per sé buona perché è stata voluta da Dio, la sola fonte di essere e di bontà, principio metafisico ed etico.
La coesione tra ragione e fede è destinata a caratterizzare tutta la filosofia medievale. Nell’XI sec. S. Anselmo conierà il famoso motto “Credo ut intelligam” (“credo per comprendere”). In questa frase è nuovamente rivendicato lo stesso principio già evocato secoli prima dai Padri della Chiesa: la fede è il punto di partenza della ricerca filosofica e non si può intendere nulla se prima non si ha fede. “Ma è tuttavia pigrizia…” – afferma Anselmo nel suo Proslogion – “…il non cercare di intendere e dimostrare ciò che si crede”.
Il rapporto con gli antichi rimane dunque fondamentale, sia per stabilire un rapporto di continuità con la tradizione, sia perché gli antichi sono autori di opere indispensabili anche a livello strumentale. Bernardo di Chartres (XII sec.), per descrivere il rapporto con l’eredità degli antichi, non a caso ricorrerà all’immagine dei “nani sulle spalle di giganti”, vale a dire: il sapere degli antichi è superiore, ma i “moderni”, avvalendosi di questo sapere (cioè poggiando sulla “statura gigantesca” dei classici), hanno la possibilità di attingere a una conoscenza ancora più grande e di guardare ancora più lontano.
Francesco Macaluso